CHIESA DELLE SACRE STIMMATE

(o della Buona Morte)

La Chiesa della Buona Morte, già “delle Stimmate“, fu eretta su un piccolo Oratorio del XII secolo, lo stesso in cui, secondo la tradizione, San Francesco ideò il Terz’Ordine nel 1221, accogliendovi il primo terziario, il beato Lucio Modestini di Cannara.

Nel semplice prospetto tardo cinquecentesco è murata una lapide che ricorda, appunto, questo importante momento della vita del Santo a Cannara. Altra lapide, dal contenuto pressoché identico, fu fatta scolpire nel 1879 da p. Angelo Petrini, custode del Sacro Convento, ed è murata all’interno, a destra della porta d’ingresso.

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L’interno è ad un’unica navata con due altari in ciascuno dei lati lunghi, ornati di stucchi tardo settecenteschi. La parete di fondo è completamente occupata dalla cantoria.

Il primo altare di destra, un tempo intitolato a San Domenico e successivamente al “Transito di San Giuseppe”, è attualmente dedicato alla “Madonna del Carmine”, (o del Carmelo), raffigurata in un moderno simulacro.

Nel pilastro seguente è posta una settecentesca statua di Santa Chiara che mostra l’ostensorio.

A seguire, l’altare di Sant’Anna conserva la tela con la Santa titolare, Santa Barbara e San Carlo, in basso lo stemma della comunità di Cannara (grifo rampante che arranca una canna verde, su fondo rosso), eseguita nel 1770 da un non meglio noto Carolo Spori Miro che vi appose la propria firma in basso a sinistra.

Prima dell’ingresso della sacrestia una lapide ricorda Pietro Giacomo Tani, difensore aggregato nelle cause del sacro Palazzo della Curia di Roma, morto nel 1625.

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Sopra la porta che immette in sacrestia è collocato il “Transito di San Giuseppe” (XVIII-XIX secolo) già sul primo altare a destra.

In sacrestia si segnalano due tele settecentesche con la “Morte di Sant’Andrea Avellino e San Filippo Neri”, oltre un Crocifisso (detto del carnevale Santificato) in tela a braccia snodabili, databile intorno al XVIII secolo, secondo l’iconografia medioevale del “Cristo doloroso”.

L’altare maggiore presenta una nicchia ricavata nel presbiterio, adornata dall’Eterno e da Angeli in stucco (fine XVII-inizio XVIII secolo), nella quale è esposto un venerato Crocifisso a braccia snodabili, costituito da cinque strati di tela di lino, con caratteristiche iconografiche della seconda metà del Quattrocento, che viene portato in processione la sera del venerdì Santo. Nel fondo sono dipinte le immagini della “Vergine dolente”, di “San Giovanni Evangelista” e i busti dei Santi Francesco e Caterina da Siena della prima metà del XVII secolo, stilisticamente non lontane ai modi del pittore senese Marcantonio Grecchi (noto 1600-1634) a lungo attivo in Umbria.

Nel presbiterio sono incorniciati anche due ovali in tela con “Cristo di fronte a Pilato” e “Cristo inchiodato alla Croce” (autore Giuseppe Carpinelli di Assisi, 1853-1904).

Sopra l’altare maggiore è collocata la tavola con la “Madonna di Costantinopoli tra i Santi Francesco e Domenico” attribuibile al pittore bevanate Ascensidonio Spacca detto “il Fantino” (Bevagna 1557-1646).

Nel primo altare a sinistra è venerata la “Madonna di Loreto” raffigurata nel prezioso simulacro del secolo XVII(?) in legno di pioppo, proveniente dal noto santuario marchigiano.

Nel secondo altare a sinistra, già intitolato a Sant’Antonio è posta una moderna statua ottocentesca della Madonna Ausiliatrice, testimonianza della presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Cannara fin dal 1891.

Nel pilastro successivo è collocata la statua di San Francesco del XVIII secolo.

Al termine della parete sinistra sono collocati “la Vergine col Figlio tra i Santi Rita da Cascia e Andrea Avellino” (XVIII secolo).

A destra della porta nella controfacciata, una lapide ricorda, oltre al già citato Pietro Giacomo Tani, anche Antonio da Cannara (Antonio de Bencioli), famoso giurista del Quattrocento, le cui opere ancor oggi vengono studiate in varie Università del mondo, che operò per un lungo periodo della sua vita nella città di Recanati. Sposò prima del 1448 Fiordalisa Toriglioni, figlia di Nicola Toriglioni e di un’antenata del grande poeta recanatese, Bartolomea Leopardi, morì nel 1451.

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Sulla cantoria è collocato un organo costruito da Antonio Martinelli di Umbertide nella seconda metà del secolo XIX.

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La comunità di Cannara custodisce in questa chiesa una storica statua della Madonna di Loreto in legno di pioppo, che appartenne da ultimo a don Vincenzo Murri, storico insigne della “Santa Casa”, da questi donata al cannarese don Pasquale Modestini. All’atto della consegna, il 2 luglio 1826, che fu solennizzata dalla presenza del vescovo di Nocera Umbra, mons. Luigi Piervissani, del vescovo di Foligno, mons. Stanislao Luchesi, del vescovo di Lidda, mons. Francesco Pichi, fu letto un “Processo verbale” scritto da don Raffaele Sinibaldi, canonico della basilica cattedrale di Loreto e mediatore del prezioso dono. In esso si accenna alle origini tardo-medievali del simulacro, poiché sarebbe appartenuto alla nobile famiglia Lusignano di Cipro, della quale l’ultima erede legittima, la regina Carlotta, attorno al 1460 l’avrebbe portata con sé nel suo esilio a Loreto. È certo che un Pietro Lusignano, oriundo di Cipro, canonico della basilica di Loreto dal 1731 al 1758, ne era proprietario prima che, per un insieme di vicende, tale statua pervenisse nelle mani del Murri. Circondata da un alone di sacralità, anche perché aveva sostituito “per qualche tempo” -si legge nel “Processo verbale”- l’originale in “Santa Casa” quando questo venne trafugato da Napoleone, Cannara le riservò una grandiosa accoglienza durante tre giorni di solenni festeggiamenti, al termine dei quali venne accolta in una piccola chiesa dedicata alla Vergine Lauretana, che lo stesso don Modestini aveva fatto appositamente costruire con le stesse misure della Santa Casa.

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Crocifìsso del Venerdì Santo – L’opera è un’importante testimonianza della statuaria, databile tra il XV e XVI secolo in considerazione del suo valore plastico ed espressivo. La connotazione della tipologia della capigliatura, tendente al vero (probabile crine di cavallo) e l’articolazione delle braccia, mobile all’attaccatura dell’omero, induce a pensare ad una influenza ispanica nel suo concepimento. Le relazioni tecniche, riportano tra l’altro che il corpo del Cristo è stato realizzato in due metà distinte e lavorate su un modello, una per la porzione anteriore ed una per quella posteriore. Le due parti, realizzate con cinque strati di tela di lino incollati e sovrapposti, sono state poi congiunte e cucite.
Il Crocifisso è stato quindi ricoperto e finito con lo stucco ed infine dipinto.
L’indagine radiografica, finalizzata all’individuazione della presenza di strutture di sostegno interne alla statua, lascia escludere che esista un’armatura interna di materiale metallico intorno alla quale sia stata elaborata la sagoma del Crocifìsso. I Crocifissi snodabili costituiscono una importante tessera del complesso mosaico che si sta componendo sulla origine, struttura e diffusione nell’Italia medievale di una cerimonia drammatica della “Settimana Santa”, ancora oggi in uso in regioni come la Sardegna, l’Umbria e la Sicilia. Il Crocifisso è l’opera maggiormente legata alla tradizione e alla cultura del popolo cannarese e nella notte del Venerdì Santo, prima e dopo essere stato trasportato in processione per le vie del paese, intere generazioni di fedeli ne hanno baciato i piedi in segno di devozione.

Testi a cura di: Ottaviano Turrioni, Paola Mercurelli Salari, Federica Annibali.